Geosensorialità... - Porthos Racconta (23/11/2017)
Ho
realizzato pienamente che la serata sarebbe stata condotta da Sandro
Sangiorgi in persona solo quando sono entrato nella sala del The Hub
di Milano. Avevo scelto e prenotato per i vini di Bruno Clavelier,
erede designato di Henri Jayer, sfruttando l'ospitalità e la
compagnia di un vecchio amico che da anni vive a Milano.
In
realtà di amici in sala ne ho trovati parecchi, senza saper gli uni
degli altri Roberta, Stefania, Barbara e anche la sorpresa di avere
con Noi il Falco di ritorno dalla Valtellina, abbracciato come un
figlio da Sandro. Lontani compagni dei tempi di Porthos.
Ho
atteso la serata con curiosità, non sapevo cosa aspettarmi e nemmeno
me ne sono preoccupato, ho messo il cervello in folle e mi sono
lasciato trasportare.
Sangiorgi
ha fascino e carisma, la voce modulata, cerca sempre il contatto con
gli occhi, io ero in prima fila e il nostro sguardo si è incrociato
più volte. Mi sono trattenuto dal ricambiarlo annuendo con il
movimento della testa, sarebbe stato troppo banale.
Tuttavia,
nel momento in cui affrontava il tema centrale del suo racconto, la
fondamentale sinergia fra mineralità e acidità necessaria per
creare la completezza del gusto, un "sì” a mezzo voce, non
sono proprio riuscito a trattenerlo.
Ha
parlato tanto, un sacco di cose giustissime, chiaramente esposte per
finalizzare una determinata tesi, esasperando alcuni atteggiamenti
caricaturali che certi personaggi e certe scuole del mondo del vino
in effetti hanno.
A
livello personale, pur considerandomi parte di quell'ambiente e senza
essere cieco, posso provare a dire che comunque non sono le mie, come
non lo sono di tanti. In ogni caso il suo modo di fare mi piace,
quando assaggia non è uno che finge, il vino lo assapora davvero,
anche più di me.
Abbiamo
degustato alla luce di un piccola candela, una forte illuminazione
tende ad allontanare dal vino, con il buio anche il compagno di
tavolo rimane fuori dalla cerchia visiva, l'unico contatto con la
realtà rimane quello dei calici.
Come
sottofondo la musica dei Jethro Tull, ad un livello alto, anche su
questo Sandro ha proprio buon gusto. Serve a distogliere la parte
razionale del cervello, quella che gestisce l'aspettativa, comunque
sempre alta quando si parla di Borgogna, in modo da essere più
neutri e ricettivi.
Non
so se abbia funzionato, in fondo era la prima volta, di sicuro è
stata un'esperienza diversa e i vini erano di un vero incanto.
Il
Pinot Noir di Bruno Clevalier è quanto di più vicino possa
immaginare alla mia ideale visione di questo vitigno, colore che è
pura luce, profumi che sono nebbia e rugiada profumate di viola,
ciliegia e arancio. Bellissimi nell'ingresso di bocca, si appoggiano
al palato con una delicatezza infinita, ne senti lo spessore senza
avvertirne il peso, la freschezza ha mille sapori con la trama
minerale che l'accompagna in punta di piedi.
Conoscevamo
la lista dei vini, ma l'ordine di servizio ci è stato svelato solo
al termine.
Davanti
a Noi 7 calici, simili ma dal carattere ben distinto, tutti incapaci
di stare fermi nel bicchiere, guizzano, cambiano, li devi inseguire,
quello che sono ora fra appena un minuto sarà completamente
diverso... evolvono, vivono. Alcuni alla fine li ho raggiunti, altri
li ho lasciati andare, inutile insistere, viaggiavano al doppio dei
miei sensi.
Nella
penombra del mio posto in prima fila, ho amato fin da subito la
pienezza, lo spessore, la solarità, l'essere così concessivo e
aperto del calice #5, “Les Hautes de Beaux Monts” un village
molto alto di Vosne-Romanée .
Amore
che ho poi tradito, dopo aver corteggiato a lungo il successivo
numero #6. Inizialmente scontroso, spiazzante, più degli altri
incapace di trovare la via, palesemente austero anche in mezzo a vini
di così grande rigore. Infine ha trovato la sua dimensione,
realizzandosi in una profondità senza uguali. Ho terminato tutti gli
altri per concedermi proprio con lui l'ultimo sorso, il meraviglioso
Vosne-Romanée 1er Cru “Les Beaux Monts”
Gli
é stato molto vicino, nelle sensazioni, nella natura, fianco a
fianco come vigneto e solo incidentalmente nella sequenza, il #7
Vosne-Romanée 1er Cru “Aux Brûlées”.
Più declinato sulla spezia e sul frutto, vibrante e di grande
eleganza, chiusura magistrale su sale e freschezza di ribes. Bello e
certamente più disciplinato, ma il fascino dell'inquietudine di chi
lo aveva preceduto ormai aveva fatto presa.
Evidentemente
diverso dagli altri il #4, così più rotondo, avvolgente, una
vibrazione tannica sicuramente più alta, densità e persino con un
timido calore. Suggestione o intuizione il caso vuole che venisse
proprio da un village diverso, nato a Chambolle-Musigny, nella parte
del vigneto “La Combe d'Orveaux” classificata 1er Cru.
Quando
pensi di aver azzeccato qualcosa, scopri che anche il #1, forse il
più magro, il più scheletrico, dagli aromi aranciati una
scorrevolezza freschissima e leggera, viene anch'esso da
Chambolle-Musigny. Un calice del 1er Cru “Les Noirots”, a
parziale consolazione nato dalla parte opposta del comune e con minor
quota.
Sugli
ultimi 2 bicchieri, entrambi da Vosne-Romanée, rispettivamente #2
“La Combe Brûlée” e #3
“La Montagne”, Sandro ha cercato di sensibilizzarci per la
ricerca di una somiglianza corrispondente ad un'intima contiguità
del vigneto. Sul momento non l'ho notata e non ne ho riscontro negli
appunti, pazienza... erano belli lo stesso.
Come
degna conclusione di una fantastica serata, un piatto abbondante di
penne al sugo di cinghiale e, per chi lo gradiva, un rabbocco dei
calici... con me non hanno certo dovuto insistere. Di vino ce n'era
in abbondanza, da quello che ho visto Sandro deve essere davvero un
buon compagno di tavola.
Durante
il servizio Sandro ha lasciato la parola a Christian Roger, esperto
internazionale di vino, amico di Bruno Clevalier e Jacky Rigaux,
inizialmente “nascosto” in mezzo a Noi del pubblico. Ha parlato a
braccio, toccando diversi argomenti, modesto, amichevole e pronto a
confrontarsi con chiunque, raccontando esperienze tra cui quella di
aver assaggiato un Clos de Vougeot 1846... proprio quello del “Pranzo
di Babette”, ed era ancora in forma splendida.
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