Calibro 7, Shot #5 – Rabajà, un grande Barbaresco - Godò 17/01/2018

Stesso Cru, stesso produttore, lo stesso modo di fare il vino radicato in una famiglia ormai da generazioni... forse il modo migliore per cogliere quello che l'annata impone su gesti e luoghi immutati da un tempo lunghissimo.

Così come diventano evidenti le ragioni per cui Pier Carlo e Giuseppe Cortese non assegnano lo stesso blasone a tutte le uve dei propri vigneti, comunque frutto di piante del medesimo Cru.


Un percorso di 9 vini dal più giovane 🍷 Langhe Nebbiolo 2015, fino al 🍷 Rabajà 1998, passando attraverso ben tre Riserve. Tutti di grande austerità e rigore, con nessuna intenzione e voglia di essere accomodanti.

L'impressione è che l'annata fredda, in cui la struttura si assottiglia, l'aroma di sottobosco si asciuga, l'acidità diventa nervosa, sia quella in cui questa filosofia di Barbaresco alla lunga si esprima al meglio.

Il piccolo frutto rosso diventa allora più articolato, magari anche selvatico, ma non più solo ciliegia, aggiunge espressioni di fragola, talvolta di arancio, persino di anguria. Emerge finalmente una vena salina, comunque sottile e mai dominante, con la tessitura del tannino espressa in tutta la sua bellezza.

Ha aperto la degustazione una magnum di 🍷 Langhe Nebbiolo 2015, calice generoso, diverso degli altri, l'unico a mettere avanti forza e calore sacrificando eleganza. Gioca indubbiamente un campionato diverso.

Lo ha seguito un'altra magnum, quella del 🍷 Rabajà 2014, di cui però voglio raccontare alla fine.

Dopo, soltanto bottiglie nel formato normale, a cominciare dal 🍷 Rabajà 2012 già piuttosto adagiato, magari accostato al cibo può ancora fare una bella figura, ma forse ha visto così tanto sole nell'annata che si è rifugiato in un mondo sotterraneo, aggrappandosi al legno che lo ha custodito.

🍷 Rabajà 2011 colta all'apice della curva di evoluzione, perfetta ora, rifinita, tuttavia senza quella vena irrequieta che faccia intravedere una lunga strada nel futuro. Già ora fin troppo levigato, anche nel frutto appena caramellato, finale che porta calore.

Completo e pieno il 🍷 Rabajà 2010, speziato, dalla dolcezza lieve di gelatina di frutta, finalmente con un sorso salino che scorre su un tannino stratificato e gentile reso vivace dalla freschezza. Dinamico, vivo, figlio di una bella annata, si vede subito!

A seguire le 🍷 Riserve servite tutte assieme, assaggiandole si avverte netto il cambio di passo, l'assegnazione di un titolo nobile è evidentemente giustificata. Maggior integrità e ampiezza, nonostante l'età cresca, profondità e sensazioni più articolate.

Ho preferito la 🍷 Riserva 2004 alla 🍷 Riserva 2006, seppure di pochissimo, trovando la prima perfetta, giovane nella natura, vellutata, speziata, dall'animo austero che tuttavia concede finalmente un accenno di fiori. Freschezza e sapidità lunghe e insinuanti, meravigliosamente languido.

Appena più eterea la seconda, dal profilo agrodolce, mi ha lasciato un'impressione un filo meno elegante, probabilmente solo per una mia minor propensione a certi ricordi tartufati e di sottobosco. Comunque buonissima in bocca, tannino ricamato da mani fatate, il calice è andato finito senza troppi indugi.

Incantevole anche 🍷 Rabajà Riserva 2001, di qualcosa sicuramente avanti nel cammino rispetto alle altre, il naso più delicato in intensità, dalle sfumature autunnali, sicuramente con minore forza aromatica, ma ancora un'impronta tattile ben definita.

Per certi versi commuovente il "semplice" 🍷 Rabajà 1998, ha messo in fila vini di 10 anni più giovani e oltre. Posato e tuttavia ancora nitido, dalle sensazioni asciutte, ricordi di metallo caldo, esile e allo stesso tempo nobile nella struttura, la luce del tramonto che brilla intensa in estate.

Infine ritorno al 🍷 Rabajà 2014... la bellezza delle annate esili, con un profumo intensissimo, penetrante, concentrato su una rosa quasi smaltata e la fragranza del mandarino, la fragola, l'anguria, talmente giovane da passare minuto dopo minuto a sfumature in cui frutti e fiori si tingono in giallo.

Non c'è sensazione alcolica, il tannino è appena un velo setoso, c'é arancio e succo di melograno, seppur con una vena alla ricerca di maturità, non posso fare a meno di intravedere una luminosità Borgognona. Il mio vino della serata, senza alcun dubbio.

Matteo come sempre è molto bravo nel mettere a proprio agio le persone mantenendo il racconto leggero, più come una chiacchierata fra amici, una storia di esperienze personali e incontri, che un voler trasferire informazioni destinare ad essere solo passanti. La sua professionalità è sempre altissima, il libricino che abbiamo trovato al nostro posto sul tavolo sarà un ricordo prezioso.

Alla fine, per terminare i bicchieri, Max e i suoi ragazzi della cucina ci hanno proposto un bel piatto di stinco e patate. Quello che ci voleva, per provare l'unione fra cibo e Rabajà. La pancia ha gradito.

Questa la lista dei vini degustati:

🍷 Giuseppe Cortese - Langhe Nebbiolo 2015 (da magnum)

🍷 Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà 2014 (da magnum)

🍷 Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà 2012

🍷 Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà 2011

🍷 Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà 2010

🍷 Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà Riserva 2006

🍷 Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà Riserva 2004

🍷 Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà Riserva 2001

🍷 Giuseppe Cortese - Barbaresco Rabajà 1998







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