Sancerre & Pouilly-Fumé (ONAV Modena, 09/07/2019)


Quando penso al Sauvignon della Loira d'istinto mi viene in mente per primo il Sancerre, mi ci vuole un attimo di concentrazione per ricordare che c'è un polo di pari grandezza nella vicina Pouilly, l'una di fronte all'altra.


Strana questa asimmetria, quando ero ancora dall'altra parte dei banchi di scuola succedeva proprio il contrario. Paradossale in molti aspetti, perché so bene come la vera rinascita di questi territori nasca proprio da quel lato del fiume, con lo scomparso Didier Dagueneau e il suo silex.

Sarà l'effetto della mia storia personale di assaggi, forse anche per i nomi così risonanti dei cru della riva sinistra... oltre a Sancerre, vengono Bué, Chevignol, vigne leggendarie come Les Monts Damnés, Chêne Marchand, Grand Chemarin, Clos de la Poussie, di quello che sta dall'altra parte ammetto di conoscere poco.

Terreni diversi ma nemmeno così distinti, non c'è un'unicità che caratterizzi le due denominazione, la vera differenza sta nell'altezza e nemmeno di poco.

Sancerre svetta di alcune centinaia di metri all'interno, con in sequenza “terre blanches”, “caillottes” e il meraviglioso “silex” presente in buona parte del suolo anche a Pouilly, insieme a sabbie, argille, calcare, marne con piccole ostriche. Quasi dimenticavo, cambia anche l'esposizione, e per una varietà esigente e sensibile alla maturazione come il Sauvignon non è poco.

Anni fa insieme ad amici avevamo provato a definire un carattere dall'assaggio dei vini, mi rimane il ricordo di una dimensione erbacea più spinta, fresca, mentolata a Pouilly, associando invece gli agrumi, il volume, una dolce tropicalità a Sancerre. Più o meno lo stesso quadro si è ripetuto nella serata condotta per ONAV Modena da Alessandro Brizi.

Degustazione piuttosto lunga, quasi una “lectio” sul Sauvignon partendo da origini e luoghi molto distanti, con un focus sul vitigno e la chimica della sua espressione aromatica. Certamente interessante, ma alla fine, quando si trattato di collegare il tutto al terroir e al bicchiere eravamo ormai a corto di tempo, mi è arrivato molto meno di quello che avrei voluto.

Lasciando parlare i nostri 4 + 4 assaggi lo stacco è stato imperioso, con i Sancerre che hanno superato nettamente i vini di Pouilly in pienezza ed estensione aromatica.

Piacevoli, mentolati, verdi nell'agrume il Pouilly-Fumé "La Moynerie" 2017 di Michel Redde et fils e lo Chateau de Tracy 2016, tuttavia piuttosto limitati nella profondità gustativa. Li ha seguiti il Pouilly-Fumé "En Travertin" 2016 di Henri Bourgeois, di cui poi arriverà anche un Sancerre dimostrando molti tratti comuni.

Azienda famosa, storica, assaggi sicuramente rifiniti e rassicuranti che tuttavia portano una dolcezza e una burrosità un po' irreale nel confronto con gli altri calici della serata. Si coglie la grande maestria nell'arte delle vinificazione, ma rimane la sensazione che abbia parlato più la volontà aziendale che non il terroir.

Discorso a parte per l'ultimo vino da riva sinistra, il Pouilly-Fumé “Les Terres Blanches" 2016 di Pascal Jolivet. Nettamente lontano per la grande delicatezza, sia nell'intensità che nelle immagini portate alla mente dai suoi profumi, lasciandosi alle spalle la frazione citrina ed erbacea si è rivelato in una nitida espressione minerale e fruttata. Assaggio tutto sulla profondità, dalle infinite minuzie, una voce flautata dopo 3 calici al confronto chiassosi.

Primo esponente del Sancerre appunto lo storico e forse eccessivamente “voluto”, “Le Baronnes" 2017 di Henri Bourgeois, seguito da quelli che, a mio parere, si sono dimostrati una coppia di piccoli capolavori.

Proprio su questi assaggi in sala ho colto diversi mormorii, con qualche commento anche dal relatore stesso... io li ho trovati originali e splendidi. Su questo aspetto penso che la non ripetibilità e la sorpresa siano una parte affascinante del mondo del vino, forse in questo mi aiuta anche la giusta predisposizione ad amare i vini un po' spettinati e dalle geometrie non perfette.

Appena mi sono avvicinato ai profumi del Sancerre "Les Belles Vignes" 2016 di Fournier père et fils ho pensato “finalmente qualcosa di diverso”, trovando selce, sabbia calda, una precisa idea di solarità fatta di arancia candita, elicriso e pungenza balsamica. Cambiamento che continua nell'assaggio, per un'acidità sostenuta a velare il palato, gli agrumi diventano pompelmo, il sorso che si fa tisana a cui si uniscono aromi di salvia, il tutto con una grazia infinita.

La prima parola che ho scritto di getto sul successivo Sancerre "Les Belles Dames" 2016 di Gitton père et fils invece non starò a riportarla... termine siculo, scritto con il vezzo di usare la “k” invece della “c”.

Già il colore propone una svolta, oro ricco, intenso, lucente, ma è portato al naso che diventa un magnifico shock di peonia, cocco e quella dolcezza di pesca sciroppata che tante volte ritrovo nei Polisy di Jacques Beaufort, altri vitigni, distanza enorme, ma suolo assai simile. Un'immagine formatasi spontanea in un attimo, senza doversi pensare, impossibile e reale allo stesso tempo.

Subito dietro c'è poi tanto altro, fumi d'incenso che giocano con toni più dolci di torrone e mandorla, la sensazione di entrare in un'erboristeria dai mobili antichi. L'assaggio ha da subito un respiro alcolico importante, ci sono volume, calore, la forza della luce, ma nonostante tutto questo la struttura rimane snella, concretata e redenta su un finale lancinante di sale. Ed è proprio questo saluto, fantastico, così polveroso e minerale, a rendere finalmente merito al terroir che l'ha generato, appunto il silex.

Attesissimo, come ultimo vino uno dei cru più importanti interpretato da un nome cult della denominazione. Con già qualche anno sulle spalle, il Sancerre "Le Monts Damnés" 2013 di Pascal Cotat.

Verdolino, algido alla vista e nell'espressione aromatica con tutta una delicatezza di erbe aromatiche, caramella zuccherosa alla menta, pesca bianca, eucalipto e pappa reale. Ruotando il bicchiere emergono mandarino cinese, vapori fumé, canfora, cangiante e conchiglioso all'inspirazione profonda. Bocca salatissima, in sinergia con una freschezza agrumata verde decisamente sostenuta, poi fumi d'incenso, solo un attimo di dolcezza e infine chiusura di polline.

Ora... senza dubbio un bel vino, ma come tutti i bianchi di Pascal Cotat sembra non voler evolvere mai, li ho trovati spesso così dopo un anno e sugli stessi registri rimangono come se il passare del tempo non li riguardasse, sempre sulle loro, freddi, poco concessivi.

Se nel passato era una delle caratteristiche che ricercavo in un vino, ora preferisco sempre la giusta testimonianza degli anni trascorsi, rimanere uguali a se stessi è irreale, in un certo senso come rinunciare a vivere.


Di seguito la lista dei vini, nell'ordine in cui sono stati proposti. Sono stato contento di essere tornato a trovare Sergio a Modena, era da tanto che mancavo.

🍷 Michel Redde et fils - Pouilly-Fumé "La Moynerie" 2017

🍷 Chateau de Tracy - Pouilly-Fumé 2016

🍷 Henri Bourgeois - Pouilly-Fumé "En Travertin" 2016

🍷 Pascal Jolivet - Pouilly-Fumé “Les Terres Blanches" 2016


🍷 Henri Bourgeois - Sancerre blanc “Le Baronnes" 2017

🍷 Fournier père et fils - Sancerre blanc "Les Belles Vignes" 2016

🍷 Gitton père et fils - Sancerre silex "Les Belles Dames" 2016

🍷 Pascal Cotat- Sancerre blanc "Le Monts Damnés" 2013








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